Le cose ormai cominciano ad essere non-cose.1
Questo è uno dei tanti pensieri che attanaglia lo scrittore Ira Epstein, personaggio del secondo romanzo di Daniele Del Giudice, Atlante occidentale. Epstein vuole scrivere un atlante della luce e Del Giudice scrive una possibile mappa per orientarsi in questo mondo occidentale, di cui vede cambiare i confini, i paesaggi, i luoghi, ma soprattutto gli oggetti e il rapporto di noi con essi, con la luce. Ci sono oggetti nuovi, non-più-cose che in questa nuova luce e di questa nuova luce - non più teologica, mistica, illuminante, ma piuttosto concreta - si formano.
Nel 1985 (anno di uscita di Atlante occidentale) io ero un’idea, forse un’ombra, forse una luce, probabilmente niente. Sono nata e cresciuta che queste non-cose erano già pervasive, non-più-nuove, e ora scrivo parole che sono luce e come la maggior parte delle persone ho quasi sempre in mano un oggetto che è uno schermo e che è luce sul quale vedo immagini e parole di luce.
Anche uno dei personaggi creati da Italo Calvino, Palomar, che abita l’omonimo romanzo,2 nell’affermarci la sua visione delle cose del mondo lo fa con uno schermo, un dispositivo che si frappone tra l’occhio e la realtà (Del Giudice interviene: l’occhio è parte del mondo e della realtà!): il signor Palomar, che si chiama come un famoso telescopio, porta gli occhiali e ci parla dalle pagine di un libro.
La luce ha sempre affascinato e attratto, ha sempre mantenuto un’aura sacrale, ma ora è cambiata. Ora attrae e distrae e non ha nulla di mistico. Di questo scriveva Del Giudice in In questa luce3.
Oggi la luce degli schermi ha un ruolo centrale nelle nostre vite, ma meglio sarebbe dire che di ruoli e di effetti ne ha tanti e fermarsi qui, perché procedere su utilità e danno del digitale sarebbe lungo e banale se lo facessi io ora.
Pensiamo però a un altro componente del digitale, lo schermo, e a ciò che implica questo dispositivo, a come cambia il modo di vedere, il modo in cui guardiamo le cose. Il mio “pensiamo” è un invito a prendersi del tempo per guardare davvero e vedere che cosa può significare per noi questo invito: una sfida impossibile, un gioco divertente, un modo di vivere, una meditazione?
Facendo ciò staremo forse applicando la “pedagogia dello sguardo”4 contenuta in Palomar.
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Questa è la prima mail / il primo post che scrivo in questo luogo virtuale fatto di luce, non so dove mi porteranno i pensieri che condividerò qui, ma sono molto felice che tu mi stia leggendo. Grazie per la fiducia e per accompagnarmi in questo nuovo cammino di parole e luce.
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Daniele Del Giudice, Atlante occidentale, Einaudi, Torino 2019, p. 73. Prima edizione Einaudi 1985.
Italo Calvino, Palomar, Mondadori, Milano 2022. Prima edizione Einaudi 1983.
saggio che leggo nella raccolta omonima, In questa luce, Einaudi 2013.
Daniele Del Giudice, «L’occhio che scrive», Rinascita, 20 gennaio 1984.
Che sintonia, Elisa! Anche nel podcast ho deciso di partire dall'analisi del concetto di 'cosa', contrapposto a quello di informazione. Bellissimo che ci sia anche tu, qui...