Scrivo, studio, mi distraggo e tengo presente che tutto quello che viene detto sulle opere d’arte è più flebile delle opere stesse1.
Voglio riportare una poesia scoperta da poco che mi sta molto a cuore.
Un consiglio per la figlia
Mi chiedi consiglio, bambina -
ma un mio consiglio che mai sarà?
Io, una sconfitta nell'amara oscurità,
io, la mia brutta copia senza gusto, senza energia -
ma se vuoi ascoltare, così sia:
Credi, quando dice d'amarti il tuo spasimante,
credi agli amici – la fiducia è importante -,
credi a idee nobili e grandiose,
credi che nel quotidiano ci sia spazio per queste cose,
credi che la vita sia un picnic in un verde prato,
credi che domani tutto avrai guadagnato,
credi alla patria, a Dio, se così dev'essere,
allo spiritismo, a Santo Erasmo puoi credere,
a Ho Chi Minh, a Giovanna d'Arco o allo yoga,
ma credi! Credi con foga!
Il ragazzo ti voleva nel suo letto solo un paio di volte,
di prove gli amici ne falliranno molte,
gli ideali sono per il cuore, non per la vita vera,
non si può più fermare l'inquinamento dell'atmosfera,
ogni mattino ti porta un nuovo acciacco,
anche Che Guevara aveva debolezze a tenerlo in scacco,
Giovanna d'Arco cinquantenne? Chissà la sua morale come sarebbe stata.
La patria? Dio? Tu a loro non sei mai importata.
Poi rimarrai, come anch'io sono rimasta:
in un angolino, come un animale sotto la frusta,
lentamente spegnendoti, un fuoco calpestato,
e tuttavia, tuttavia: non rimpiangere niente di ciò che è stato!
Non guardavi soltanto, tu ardevi,
tu hai dato tutto senza ritrarti,
senza calcolare il tuo beneficio personale,
senza preoccuparti del risultato finale.
Non sei stata furba. Nemmeno troppo intelligente.
Tu hai creduto. Questo per una vita è sufficiente2.
Adesso vi posso parlare, brevemente, di chi è stata l’autrice, che è stata almeno in tre nomi diversi.
Tamar Radzyner è nata Teofila Fajwlowicz nel 1927 a Łódź, in Polonia. Da giovanissima ha vissuto prima l’occupazione e poi, all'inizio del febbraio del 1940, la trasformazione di Łódź in ghetto. È sopravvissuta alle deportazioni nei lager di Auschwitz-Birkenau, Stutthof e Flossenbürg, uscendo dall’ultimo a soli 16 anni. Dopo la guerra ha preso il nome da nubile della madre ed è diventata Helena Glibowska. Una volta trasferitasi a Vienna ha preso il cognome del sucero (insieme al marito, che aveva cambiato anch’egli nome durante la guerra) e si è scelta il nome con cui oggi parliamo di lei. Tamar Radzyner.
Suoi sono molti testi cantati da Topsy Küppers, come questo:
La raccolta che è stata tradotta in italiano è intitolata Nulla voglio dirti, ma Tamar scrive della guerra, della memoria, dell’incomunicabilità, della lotta, della speranza. Di contenuti ne ha tanti, altro che nulla.
Un’autrice da scoprire* e da ascoltare con attenzione.
*(e da tradurre!)
Ingeborg Bachmann, traduzione di Vanda Perretta, Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte, Adelphi, Milano 1993.
Tamar Radzyner, Michael Dallapiazza (a cura di), Giulia Fanetti (Traduttrice), Nulla voglio dirti. Poesie e chansons, Portatori d’acqua, Pesaro 2021.
Buongiorno, Elisa. Interessante questa autrice, che ha 'deciso' di esistere con tre nomi diversi. Un po' come il parlare/parlarsi nelle lingue diverse, a seconda di che cosa vogliamo dire/dirci.
Buongiorno, Elisa. Interessante questa autrice, che ha 'deciso' di esistere con tre nomi diversi. Un po' come il parlare/parlarsi nelle lingue diverse, a seconda di che cosa vogliamo dire/dirci.